Arrivare in orario all’anticipo sul ritardo.

(Ci teniamo a precisare che gli eventi raccontati nell’articolo sono avvenuti precedentemente all’entrata in vigore degli ultimi DPCM e degli eventi delle ultime settimane. Buona lettura.)

Avevo in mente un articolo completamente differente.
Volevo parlare di bellezza, di arte, di disarmonica meraviglia e invece, per l’ennesima volta, la stanca voglia di non adattarsi alla disumanità ha prevalso.

L’evento scatenante?
Il seguente.

16:10. Arrivo in stazione con il giusto anticipo per fare tutto con la calma della quale ho bisogno. Vedo comparire sul tabellone degli orari un ritardo, in due tranche, di 25 minuti. Il treno quindi sarebbe dovuto partire alle 16:35 se la matematica continua a non essere un’opinione. Entro dentro la zona binari, superando i controlli, dal gate riservato ai soggetti possessori di biglietto per treni ad alta velocità. Il mio essere donna questo mese non è stato puntuale, il mio ciclo mestruale ha bussato alla porta prima del dovuto. Non essendoci bagni in tutta la zona binari, consapevole di avere un lasso di tempo consistente in cui giostrare le mie azioni, sono uscita per cercare una toilette. Termini, in estrema emergenza Covid, è dotata di un solo servizio WC: al piano superiore, ovviamente.

Sono le 16:29 quando esco dal bagno.
Osservo il tabellone ed, esattamente, in quel momento compare il binario di arrivo del mio treno: 1.
Scendo, supero nuovamente i controlli, dal binario 9, che è il primo entrata dal gate G a me riservato, mi dirigo verso il binario 1. Sono le 16:31 quando, arrivata, vedo sfilarmi davanti agli occhi il treno sul quale sarei dovuta salire.

Credo non possa succedere. Chiedo all’addetto lì vicino che mi consiglia di parlarne all’esterno con il Trenitalia Desk. Mi ci dirigo, faccio una fila di almeno mezz’ora da beneducata ragazza, vedendomi sorpassare da un numero indicibile di cafoni, per sentirmi dire che devo andare in
biglietteria, la cui addetta mi sprona a recarmi al customer care. Qui un’adorabile ragazza mi dice che non può fare assolutamente nulla per me perché ho superato i 30 minuti che Trenitalia mette a disposizione dei suoi clienti per risolvere eventuali imprevisti, sottolineando che in tempo di
pandemia mi dovevo recare al binario inesistente ancora prima della partenza prevista e che non era un problema suo se le mie ovaie avevano deciso di anticipare il loro naturale funzionamento. Chiedo allora, abbastanza concitatamente ma sempre con educazione di parlare con qualcuno di rango superiore. Il gentile addetto ha provato falsamente a venirmi in contro per poi celare fra le righe che non era un suo problema e che anzi gli stavo alterando l’umore.

E io ho pensato che è stata persa l’ennesima occasione per venire incontro alle persone.
L’ennesima occasione per scusarsi.
L’ennesima occasione per comprendere che non siamo tutti uguali.
L’ennesima occasione per distinguersi dalla massa.

Sorvoliamo sulle conseguenze economiche, magari ne parleremo un’altra volta. Ma pensiamo ad un genitore con un bambino da cambiare: può aspettare fuori per 35 minuti se il bambino ha la necessità di essere cambiato, senza bagni o sedute?

Pensiamo ad un’anziano, o ad una persona con disabilità motorie come poteva arrivare in orario all’anticipo sul ritardo?

Pensiamo ad una donna che ha l’urgenza di cambiarsi, non il desiderio.

Tutti questi target di clienti Trenitalia non hanno deciso di avere queste necessità, non lo hanno mai richiesto eppure sono risultati svantaggiati e non tutelati. E io non lo accetto. Non lo accetto dallo Stato ma ancora di più dal privato. Perché il privato ha un obbligo ancora maggiore: tenere fede a quegli ideali di vision che tanto vengono decantati nel proprio codice etico.

Un’azienda che si dice al fianco degli italiani, non può permettere che una fetta cospicua della propria clientela non sia tutelata, non sia compresa, non sia aiutata e avvantaggiata.

Questa è la differenza fra uguaglianza ed equità. Il buon funzionamento della società, di qualsiasi società, non è dato dal principio “a ciascuno lo stesso”, bensì, dal principio “ a ciascuno quello che serve, per avere tutti le stesse possibilità”.

E se lo scrivi nel tuo codice etico, se lo citi nei convegni aziendali, se ne fai lo slogan delle tue pubblicità, devi essere coerente: devi rispettarlo. Ne va della tua affidabilità, della tua reputation.

Forse il problema sta nelle dimensioni. Più ti allontani dal singolo, più diventi colosso, più ti dimentichi di quelle che sono le problematiche che anche tu vivi quotidianamente.

Diventare insensibili alle esigenze delle persone alle quali vendi un servizio, non fa di te una grande azienda, fa di te solo un’azienda con un cospicuo fatturato semmai.

Per quanto mi riguarda… sono vent’anni che faccio battaglie contro i mulini a vento, spero di non arrendermi mai, ma sono consapevole di non essere in grado di cambiare niente. L’importante è non perdere mai l’occasione di riflettere circa ciò che la vita mi pone davanti agli occhi.

Spero in futuro, semmai fossi in una situazione simile ma dall’altro lato della barricata di non compiere lo stesso errore.

E poi: addio Trenitalia, benvenuto Italo.