Mostri

Emile Zola in “Germinal” per descrivere la miniera del Montsou usa un’immagine molto interessante: essa è descritta come un’enorme bestia che nell’arco della giornata deve trangugiare più uomini possibili per prosciugare la sua enorme sete di sangue. Fritz Lang nel suo capolavoro “Metropolis” rappresenta una società futura in cui le divisioni di classe sono più che mai ampie. In questo futuro la città diventa una vera è propria macchina il cui funzionamento passa tramite lo sfruttamento delle componenti più povere della società. I ritmi a cui i lavoratori sono sottoposti risultano incessanti e spietati; al minimo errore si ha l’esplosione della macchina, la quale si trasforma in un mostro a cui va pagato un pegno, un vero è proprio sacrificio in vite umane, che essa divora senza pietà. Sia nel romanzo di Zola che nel film dispotico di Lang i problemi umani sono mostri che fagocitano gli uomini: nella società gli esseri umani sono destinati a perdersi e a rimanerne inghiottiti, essa è troppo grande e gravosa per loro e diventa un orribile orco affamato di carne umana. I mostri presentati in queste due opere si collocano ai due capi di una smisurata retta del tempo; uno sta all’estremo del passato e l’altro del futuro. Occorre ora vedere se i mostri del nostro presente ci appaiono come quelli del passato e del futuro o come qualcosa di diverso.

Prima è doveroso concentrarsi sulla figura del mostro per vedere che esso non è un qualcosa presente solo nelle mitologie antiche o nelle fiabe ma bensì un’entità che permea più che mai la nostra realtà. Per far ciò penso sia interessante compiere un parallelismo fra due dei più importanti e originali pittori fiamminghi. Nei quadri di Hieronymus Bosch, fra un giardino delle delizie e un raccapricciante inferno, si possono osservare un gran numero di mostri che popolano scenografie oniriche: la paura che provocano non è ne più ne meno quella di un brutto sogno, niente che possa penetrare nella nostra realtà. Più tangibile e concreto è invece la spietata rappresentazione “Testa di vecchia contadina” di Bruegel il Vecchio: sui lineamenti di una donna si vede poggiarsi la delicata polvere della vecchiaia e dell’usura, la quale stagna sul suo viso fino a diventare una sottile patina di morte. Qui incomincia la trasformazione: quello che prima doveva essere un normale viso ora si contorce, si ritrae e si deforma, lasciando come risultato un soggetto scarno dalle fattezze grottesche e mostruose; ecco che il mostro si plasma dalla stessa materia della realtà. La distanza che avevamo con Bosch fra noi e i suoi mostriciattoli era possibile grazie all’invalicabile barriera dell’irrealtà, mentre nell’impietosa opera di Bruegel ciò non accade. In questo caso la mostruosità non è frutto né di un sonno della ragione né di un incubo ma semplicemente delle circostanze di una vita opprimente e dell’inesorabile vicinanza alla morte.

Facciamo ora un salto di 500 anni circa e torniamo al presente. Possiamo dire che i nostri mostri sono entità giganti in continua espansione e che sotto la loro oppressione non possiamo fare altro che rimanerne schiacciati? Per me è l’opposto: non è più il mostro ad inglobare l’uomo ma paradossalmente il contrario. Come i peggiori parassiti il mostro entra in noi, scivola sulle nostre pareti interne e attraversa ogni cunicolo fin quando non decide di fermarsi e di scavare un piccolo anfratto dove può insinuarsi. Da lì poi non fa altro che accrescersi e allargarsi sempre più, cercando di raggiungere ogni spazio libero disponibile. A questo punto i suoi effetti non tardano ad arrivare e allora i nostri pensieri, le nostre idee e le nostre passioni non assumono che forme piatte e deboli, le sfumature accese del nostro carattere impallidiscono, si fanno simili al colore delle sale d’attesa degli ospedali e gli imperativi che guidano le nostre azioni diventano la passività e l’indifferenza, due gran puttane. Un meccanismo di interiorizzazione del genere potrebbe apparire come un metodo di difesa, ma non è così. L’uomo non è come un’ostrica: lei ingurgitando acqua per nutrirsi immette dentro di sé anche detriti, parassiti e sporcizia, e da queste scorie riesce a produrre incredibilmente una bellissima perla, che probabilmente verrà presa e usata per ornare il collo di qualche bigotta. Gli esseri umani invece non sono in grado di fare ciò: i cattivi pensieri, i turbamenti, la depressione, i nostri mostri una volta nascosti dentro di noi non diventano una gemma preziosa. Essi non fanno altro che imputridire come l’acqua di uno stagno, e noi con loro.